Maschile, femminile o asterisco? Come dobbiamo declinare il participio passato nei verbi al passato prossimo?
Recentemente ho notato che c’è un po’ di confusione sul tema dell’accordo del participio passato con l’oggetto, per esempio nel passato prossimo, in frasi appunto come “ti ho pensato” e simili.
Ora, a rigore – cioè, basandoci sulle grammatiche (vecchie) dell’italiano – sono corrette entrambe le forme. Quindi è corretto dire “ti ho pensato” come “ti ho pensata”. Nel primo caso usiamo la forma base, in cui non c’è l’accordo, e quindi io non declino il participio passato ma lo lascio nella sua forma neutra – che, in italiano, è quella maschile (fatevene una ragione). Nel secondo caso decliniamo il participio in base al genere dell’oggetto, e quindi diciamo “ti ho pensata” se l’oggetto è di genere femminile.
Questa è una POSSIBILITÀ, attenzione, non è la regola: anzi, è la forma meno usata ed è anche logico che sia così, perché è più complessa, e le lingue come l’italiano tendono a non concordare il verbo con l’oggetto, salvo alcuni casi in cui questa scelta non è opzionale (frasi come li ho visti, ad esempio).
Perché mi soffermo su un tema che forse per molti è ovvio?
Prima di tutto perché c’è effettivamente una confusione generale su quale sia la forma corretta e in molti casi va a finire che la forma meno marcata, più semplice e più diffusa suoni come errata perché non abbastanza “elevata”.
Poi perché tale confusione degenera, come sempre in questi tempi deprimenti, nell’idiozia: ho notato infatti che, nell’isteria dovuta al terrore del genere grammaticale, si leggono frasi come “ti ho pensat*” – si leggono, perché l’asterisco, naturalmente, non è un segno linguistico, e quindi nel parlato non esiste.
Ora, non è mia intenzione discutere sull’uso dell’asterisco in generale, anche se la mia opinione in merito credo che sia nota o di certo deducibile facilmente.
Ma voglio mettere l’accento sul fatto che quando una tendenza assume proporzioni esagerate, sfocia nel ridicolo, come in questo caso: dire “ti ho pensato” non è offensivo per nessuno (questo ammettendo l’errato presupposto che l’uso del genere maschile possa in qualche caso esserlo! E come ho già detto in questo articolo, non lo è).
Non è “non inclusivo”, perché non comporta nessuna supposizione circa il genere dell’oggetto, quindi non ha letteralmente nessun senso sostituire quella desinenza con un asterisco. Non è una desinenza di genere, è una forma neutra, praticamente cristallizzata.
Attenzione, perché la linea che conduce a diventare dei meme viventi si attraversa in un lampo!