Parolacce e sessismo

Le parolacce sono sessiste? E se lo sono, è il caso di cambiarle?

Vediamo perché le parolacce sono belle così come sono, c’entrano poco con il sessismo, e non hanno bisogno di interventi catoniani.

Il turpiloquio, cioè il lessico delle parolacce, è una parte molto importante del lessico di tutte le lingue del mondo; possiamo proprio dire che è un elemento del quale non possiamo fare a meno.

Questo lessico comprende ovviamente quelle parole che nella conversazione quotidiana, quella regolata dalle norme sociali di comportamento, sono proibite.

Il valore primario del turpiloquio è infatti quello di violare una norma: il motivo per cui un’imprecazione volgare ci sembra più efficace della sua variante eufemistica, per esempio quando siamo arrabbiati (cazzo è più efficace di cavolo, ad esempio), è che la parola volgare è proibita, e nel pronunciarla stiamo compiendo un oltraggio. La violenza di questo oltraggio ci permette una forma di catarsi.

Va da sé quindi che il turpiloquio non può avere nulla a che fare con il politicamente corretto e non può porsi problemi del tipo “questa parola è offensiva per Tizio o Caio”.  

Un altro elemento molto importante da considerare è che il turpiloquio è largamente un lessico metaforico: non va inteso in senso letterale. Quando io dico a qualcuno vaffanculo, non intendo letteralmente dire che deve andare a fare sesso anale!

In italiano, come nella maggioranza delle lingue del mondo, gli insulti e le parolacce hanno una matrice sessuale. Il motivo è ovvio: il sesso è sempre stato l’argomento tabù per eccellenza. Dunque l’origine di parole come “cazzo”, usata come imprecazione, o, appunto “vaffanculo”, è relativa all’uso volgare di termini della sfera sessuale, che in quanto proibiti rappresentano il massimo dell’oltraggio. In questo grande calderone lessicale rientrano termini maschili e femminili, che hanno come oggetto gli organi sessuali maschili e femminili o che deridono comportamenti sessuali maschili e femminili.

Date tutte queste premesse, quindi, cosa c’entra il sessismo?

Come sempre non c’entra niente, ma c’è la tendenza a volercelo far entrare per forza. Infatti, fra le varie battaglie dei paladini del politicamente corretto, c’è anche quella di eliminare i cosiddetti insulti sessisti (ovviamente solo quelli rivolti contro le donne): tipo, troia, o figlio di troia e variazioni sul tema. Si sostiene infatti che questi insulti derivino da una mentalità maschilista che giudica negativamente la libertà sessuale femminile e quindi vadano sostituiti con insulti che non hanno questa connotazione.

Quindi io, quando devo insultare qualcuno, dovrei prima pormi il problema di non insultarlo troppo. Come sempre la logica dietro queste rivendicazioni è ineccepibile. Ma entriamo nel merito, così, per divertimento.

È vero che troia e simili esistono perché alla base c’è una mentalità maschilista? Sì, è innegabile, lo stesso vaffanculo risale a una mentalità ormai retrograda secondo la quale fare sesso anale è deprecabile (in quanto contro natura e da “froci”).

Ma se, come abbiamo detto, quando dico vaffanculo non sto dicendo letteralmente vai a fare sesso anale, per quale motivo invece dobbiamo pensare che se dico troia sto pensando che tizia in questione ha una vita sessuale libertina? Il più delle volte lo uso come generico insulto verso una donna, senza nessun giudizio morale.

Per lo stesso motivo darò della testa di cazzo ad un uomo, nonostante non ritenga che la punta del pene abbia qualcosa di negativo, dio la benedica! E quando invece sto insultando una donna perché voglio dare un giudizio morale sul suo comportamento sessuale, va da sé che non può fregarmene di meno di non essere maschilista.

Comunque, per rispettare la parità dei sessi sono stati suggeriti anche termini che bilancino questa apparente disparità, come ad esempio troio, che connoterebbe negativamente il maschio che ha una vita sessuale promiscua; così come si è spinto per l’uso di termini femminili che non riguardino la sfera sessuale, come stronza.

Il problema di questi termini però è che nel primo caso sono ridicoli, nel secondo non hanno lo stesso gradiente di violenza e quindi di oltraggio, dunque sono termini inefficaci.

E il motivo è che non si può programmare il turpiloquio perché sia offensivo solo entro certo limiti. Già pensare di programmare la lingua è idiota, come ho detto tante volte, ma se in altre aree del lessico funziona, in questa è un totale controsenso.

Come sempre, ignorare il funzionamento dei fenomeni linguistici produce solo situazioni imbarazzanti, quindi rinnovo il mio invito fatto in passato ad usare le parolacce con fantasia e libertà, perché servono a questo: a dar fastidio, a violare le restrizioni, e a sclerare male quando vorremmo mettere le mani addosso a qualcuno!

Se ti interessa il tema, ecco alcuni libri che potrebbero piacerti (purtroppo gli studi più articolati sul turpiloquio sono in inglese):

Turpia. Sociologia del turpiloquio e della bestemmia, R. G. Capuano, Costlan Editori, 2007, Milano.

Holy S*t! A brief history of swearing, M. Mohr, Oxford University Press, 2013.

Swearing: a cross-cultural linguistic study, M. Ljung, Palgrave Macmillan, 2011.