Lingua e dialetto: che differenza c’è?

Perché alcuni dialetti sono considerati lingue? È una questione solo linguistica o ci sono altri elementi in gioco? È davvero il caso di vantarsi se si parla una lingua e non un dialetto?

Spesso si pensa che una lingua abbia un valore superiore rispetto a un dialetto, come se il dialetto fosse una varietà subalterna, meno nobile. Ma sappiamo veramente che cosa differenzia il dialetto dalla lingua?

Per prima cosa, “dialetto” è di suo un termine controverso: non ne esiste una definizione univoca e non esiste un solo parametro per stabilire se un certo idioma sia da considerare lingua oppure dialetto.

Tecnicamente, un dialetto è una varietà di una lingua X: cioè, da quella lingua sono nate diverse varianti che ne rappresentano quindi una sorta di “deformazione”. In base a questa definizione strettamente linguistica, sul suolo italiano i dialetti in realtà sono pochissimi! In pratica solo il toscano sarebbe un dialetto, e alcune altre parlate del Centro Italia. Le altre parlate che noi consideriamo dialetti (piemontese, napoletano, siciliano ecc), in realtà non lo sono.

Perché questo? Perché non sono varianti dell’italiano, ma lingue che si sono sviluppate in modo indipendente e addirittura prima di esso! L’italiano, infatti, deriva dal dialetto fiorentino, cioè da quella lingua romanza che in seguito alla morte del latino veniva parlata in Toscana e in particolare a Firenze. Quando il fiorentino ha iniziato ad essere usato come lingua di tutta Italia (prima in letteratura e poi anche nel parlato), sul suolo italiano esistevano già tante altre lingue romanze, che sono appunto quelle che noi oggi definiamo dialetti.

Allora perché li chiamiamo dialetti?

C’è un altro punto di vista che osserviamo per catalogare le lingue, cioè quello sociolinguistico. Questo approccio tiene conto del modo in cui i parlanti percepiscono la propria lingua: la considerano la propria lingua madre? La usano in tutte le situazioni? La ritengono adatta ad esprimersi anche in un contesto formale o lavorativo? Se la risposta è no, ecco che quella lingua non viene più considerata “lingua”, ma dialetto.

È chiaro quindi che gli idiomi che citavo prima, come il piemontese, il napoletano ecc, se dal punto di vista tecnico non sono dialetti, lo sono dall’altro punto di vista: sono i parlanti a considerarli tali.

Perché invece, per esempio, il sardo e il friulano hanno ricevuto lo statuto di lingue? Non vengono usate nella comunicazione formale, non sono lingue letterarie, sono considerate secondarie rispetto all’italiano. Allora cosa cambia rispetto agli altri dialetti?

Prima di tutto c’è un motivo politico: il riconoscimento di lingua è l’esito di una battaglia culturale e legislativa che non tutte le Regioni hanno portato avanti.

Inoltre, un altro criterio per classificare le parlate è la presenza di una letteratura e di un linguaggio burocratico-legislativo: se quella parlata ha prodotto opere letterarie, leggi, documenti ufficiali, potrebbe “meritare” lo statuto di lingua.

E infine, l’ultimo criterio è quello dell’unicità di quella parlata: in parole povere, se quella parlata è l’unica rappresentante di un ramo di lingue sviluppatesi dal latino, oppure no. Lingue come il piemontese, ad esempio, sono varianti di un gruppo linguistico più grande, le lingue gallo-italiche. Il sardo e il friulano, invece, sono uniche.

Come vedete, i criteri a volte sono discutibili e non sono sicuramente sufficienti ad affermare che una lingua è superiore a un dialetto. Le lingue sono tutte uguali e vanno tutelate allo stesso modo!