Da quando è scoppiata la pandemia, questo tema è diventato più attuale e ne sentiamo parlare spesso: perché tendiamo a usare così spesso parole inglesi al posto di quelle italiane?
Per fare un esempio recente e anche eclatante: qualche giorno fa abbiamo assistito alla conferenza stampa del Presidente del Consiglio, durante la quale abbiamo tutti sentito (io con un certo dolore) l’uso reiterato della parola “party” al posto della parola “feste”.
Su questo tema dell’uso eccessivo degli anglismi, cioè appunto i prestiti dall’inglese, si è espressa in più occasioni l’Accademia della Crusca, attirandosi spesso per questo le accuse di “vecchiezza” e incapacità di accettare il mutamento linguistico. Naturalmente i linguisti sanno benissimo che le lingue si evolvono, e non pretendono che l’italiano rimanga sempre uguale a se stesso: cercano però di fare un’analisi più approfondita che riguarda soprattutto la nostra cultura e non solo la nostra lingua.
Infatti, l’uso di questi termini crea innanzitutto confusione a livello comunicativo, soprattutto in un momento di emergenza come questo: perché usare l’inglese se l’italiano dispone di tutti i termini necessari? Molte persone si sentono confuse sentendo parlare di party, di lockdown, di data breach ecc. Dai rappresentanti dello Stato ci aspetteremo la massima chiarezza, anche per evitare di generare ulteriore preoccupazione nella popolazione.
Per questo motivo l’Accademia della Crusca spesso ha richiamato all’ordine gli esponenti politici, senza essere mai ascoltata; e qui emerge il secondo tema importante: mentre ci affidiamo – giustamente – ai medici quando si parla di medicina o ai fisici quando si parla di fisica, sembra che sia superfluo affidarsi ai linguisti quando si parla della lingua. Sembra insomma che della lingua se ne possano occupare tutti. Del resto tutti parliamo italiano, quindi tutti sappiamo come funziona!
In realtà, anche in questo caso sarebbe meglio affidarsi agli esperti. Infatti, i linguisti si preoccupano dell’uso eccessivo dei prestiti non per fascismo linguistico, ma per un allarme concreto. Vediamo quale.
Partiamo dal presupposto che la lingua si evolve, è caratterizzata da continuo mutamento; il prestito è uno degli elementi più frequenti e produttivi in questo senso. Si tratta di un fenomeno linguistico normalissimo, che è sempre esistito: l’interferenza linguistica, cioè il contatto tra due o più lingue che si influenzano a vicenda, non è un fenomeno negativo. Può però diventare preoccupante quando diventa sistematica e unidirezionale: come nel caso dell’inglese e dell’italiano.
In questo caso, l’italiano prende tantissimi termini dall’inglese, tutti i giorni, senza che ce ne sia alcun bisogno, mentre non accade il contrario. Perché l’italiano dunque ha questa tendenza?
È chiaro che l’inglese è una lingua egemonica sotto il profilo culturale: gli USA sono un’enorme potenza economica, la cui cultura, tramite la globalizzazione, si è imposta in tutto il mondo, generando un appiattimento che coinvolge molti aspetti della nostra vita, non ultimo quello linguistico. È per questo che i linguisti cercano di mettere in guardia dai pericoli di questi continui prestiti: gli italiani sono facilmente influenzabili dall’esotismo, cioè dal termine esotico, che in quanto tale porta con sé un certo fascino. Perché non diciamo finesettimana ma weekend?
Spesso dietro questo eccessivo uso dell’inglese c’è l’illusione di apparire più alla moda, più cosmopoliti e moderni. A volte c’è anche una certa arroganza, cioè il vanto di conoscere la lingua franca, contrariamente ai “boomer” (sic) che sono rimasti ancorati alle loro vecchie e polverose tradizioni.
Questa moda, come tutte le mode, nasconde in realtà un grande appiattimento culturale: all’arrivo di prestiti dall’inglese corrisponde un impoverimento lessicale, contrariamente a quanto dovrebbe normalmente avvenire con il prestito. Il prestito dovrebbe aggiungere qualcosa alla lingua, arricchirla; invece, nel caso degli anglismi, spesso il risultato è un depauperamento del lessico. Non certo perché l’inglese sia una lingua povera! Siamo noi che impoveriamo il termine che prendiamo in prestito, perché prendiamo un’unica parola che adattiamo a mille contesti diversi, sacrificando quindi i numerosi sinonimi che l’italiano avrebbe a disposizione.
Proprio oggi l’Accademia della Crusca ha pubblicato una piccola riflessione sulla parola devastante, che illustra molto bene questo concetto. Questo termine è ovviamente italiano, un participio presente creato su materiale originario latino. Per tanti secoli però gli italiani avevano smesso di usarlo, finché non lo hanno reinserito nella lingua come prestito di ritorno: prendendolo dall’inglese, in cui la parola devastating è molto usata. Attraverso la grande diffusione di serie televisive e altro materiale in inglese, anche noi abbiamo iniziato a usare l’aggettivo devastante nel modo in cui lo usano gli anglofoni.
Il problema è che questo aggettivo, essendo diventato di moda – ed è diventato di moda perché deriva dall’inglese – ha coperto uno spazio molto vasto che prima era occupato da tanti sinonimi: lacerante, doloroso e altri. Questo è accaduto a tantissime parole del nostro lessico, che si è infatti notevolmente impoverito. Questa triste tendenza è esacerbata dall’influsso esercitato dai social network sul nostro modo di esprimerci: il vocabolario della comunicazione via social è ridottissimo, circa 1500 parole, contrariamente alle 7000 circa che dovrebbe contare il nostro vocabolario di base!
L’impoverimento lessicale dell’italiano è una tendenza che deriva da più fronti, non certo solo dai prestiti inglesi o dalla lingua dei social network. Basti pensare agli autori che oggi vanno maggiormente di moda: potremmo citare ad esempio Baricco o Ammanniti, che scrivono libri in cui il vocabolario a disposizione è ridottissimo, quasi infantile nella sua estrema semplicità. La moda del prestito inglese semplicemente accelera questo processo.
La cosa più grave però è che spesso questi prestiti non entrano naturalmente nella lingua, ma vi vengono imposti. Pensiamo alla situazione del Coronavirus: noi pendiamo dalle labbra di chi ci governa, per ovvi motivi; come pendiamo dalle labbra di giornalisti e presentatori televisivi. Se queste persone, che hanno inevitabilmente un ruolo di potere culturale rispetto alla popolazione, usano l’inglese invece dell’italiano, in qualche modo ci impongono di usarlo a nostra volta. Infatti chi mai di noi avrebbe usato la parola lockdown? Infatti moltissimi hanno continuato a usare quarantena, che sebbene non del tutto accurato ci è noto e quindi è per noi più chiaro.
E allora perché politici e giornalisti insistono così tanto sull’uso dell’inglese? Perché un Matteo Renzi sentiva il bisogno di chiamare la sua legge “Jobs Act” invece di “legge sul lavoro”?
Ci sono due motivi. Il primo è appunto l’esotismo: dire una cosa in inglese la rende più interessante, migliore, più appetibile.
Il secondo motivo è più sottile e ha a che fare con il fenomeno dell’eufemismo: se io esprimo un concetto sgradevole in un’altra lingua, ne sto attenuando la carica emotiva e quindi lo rendo accettabile per i parlanti. Questo è un fenomeno molto pericoloso da cui dobbiamo ben guardarci in ambito politico: se proviamo a tradurre in italiano i termini inglesi introdotti dai politici, ci renderemo conto che spesso, in italiano, avrebbero avuto tutt’altro sapore.
Quindi, ascoltate i linguisti! Affidatevi agli esperti, e riflettete sull’uso che fate della lingua, sul motivo per cui scegliete di usare una parola piuttosto che un’altra, e domandatevi se corrisponde ad una moda, che a sua volta deriva da un’egemonia culturale, che forse potremmo decidere di combattere. Non perché siamo nazionalisti o patriottici, non perché pensiamo che l’italiano sia una lingua superiore, ma perché è la nostra lingua, e dobbiamo preservarla. Non solo: potremmo cercare di opporci a questo impoverimento linguistico che viene portato avanti anche da coloro che ci governano.
Insomma, cerchiamo di essere parlanti attivi: la lingua la facciamo noi, con le scelte linguistiche che compiamo ogni giorno.
Per approfondire:
Conferenza sugli anglismi dell’Accademia della Crusca: https://www.youtube.com/watch?v=P9I5A_Cp5Lo
Atti di un convegno dell’8 settembre 2015 sul tema del prestito: https://accademiadellacrusca.it/…/la-lingua-italiana-e…/6108
Volume sul prestito e il suo funzionamento del linguista Roberto Gusmani, Saggi sull’interferenza linguistica.