3 espressioni fastidiose che sentiamo troppo spesso

Anche oggi parliamo di espressioni che vanno di moda ma che sono sbagliate e vanno evitate!

Partiamo dal verbo applicare: come sapete, in italiano ha diversi significati, come mettere in atto, attaccare, mettere sopra ecc. Molti di questi significati coincidono con quelli del corrispettivo inglese to apply, ma non tutti: infatti l’inglese ha anche il significato di “candidarsi per un lavoro”. In italiano questo significato non c’è! Ultimamente però si nota la tendenza a usare applicare in questo senso: “ho applicato per un lavoro”, ad esempio. Ma non c’è nessun bisogno di inventarsi quest’espressione, perché in italiano il verbo corretto esiste già: candidarsi! Come sempre l’inglese ci influenza più del dovuto.

Un altro verbo che viene usato in modo errato è abusare, verbo che purtroppo sentiamo spesso, soprattutto in relazione a fatti di cronaca. Questo verbo originariamente era intransitivo, e quindi non potevamo avere la forma passiva: non poteva esistere quindi “è stato abusato”. Molti giornalisti, però, forse perché hanno trovato la laurea nelle patatine fritte, hanno cominciato ad usare la forma passiva nonostante fosse sbagliata; e questa forma si è diffusa così tanto che ormai viene considerata accettabile dalla gran parte dei linguisti.

Ovviamente si è diffusa così tanto perché è più semplice: prima, infatti, avremmo dovuto dire “ha subito un abuso” o “è stato vittima di abuso”. E sappiamo che la complessità affatica troppo il cervello di certe persone.

Quello che invece non è assolutamente accettabile è l’uso del participio passato abusato, con funzione di aggettivo, riferito a persone. Abusato, infatti, significa “usato impropriamente”, “usato troppo spesso”, e non può riferirsi a persone! Possiamo dire “una parola abusata”, ma non possiamo dire “una persona abusata”. Quindi, facciamo attenzione quando usiamo abusare e il suo aggettivo!

Infine, oggi parliamo di un altro termine molto in voga, soprattutto in certi ambienti virtuali: narrazione (correlato a narrativa). Anche in questo caso parliamo di un anglismo, che ricalca l’inglese narrative: tra i tanti significati di questo termine, molti dei quali coincidono con l’italiano, c’è quello di “tema ricorrente”, “versione dei fatti proposta da un gruppo di persone”. In italiano questo significato non c’è: narrazione vuol dire “racconto”, con diverse accezioni. Effettivamente però l’italiano non ha un termine per denotare questo concetto, e quindi, tanto per cambiare, invece di creare un neologismo (quindi una parola nuova, tutta italiana) ha fatto ricorso a quello che si chiama un calco semantico: cioè ha preso quel significato di narrative e lo ha applicato a narrazione. Per questo sentiamo dire, per esempio, “la narrazione femminista che vuole tutti gli uomini carnefici e privilegiati” (esempio puramente casuale!). È lo stesso procedimento attuato con applicare, solo che in questo caso è almeno motivato dal fatto che l’italiano non aveva proprio un termine per esprimere quel concetto.

Il vero problema non è l’uso di narrazione, ma l’uso di narrativa! Questo termine in italiano indica soltanto il genere letterario del romanzo e del racconto; non ha nessuna attinenza con gli altri significati espressi dall’inglese narrative, che sono invece quelli di narrazione. Ma siccome narrative e narrativa hanno un suono simile, si tende a sovrapporli, anche se semanticamente sono distanti.

Quindi, se proprio dobbiamo usare un calco dall’inglese, almeno usiamo quello che ha senso!