La letteratura come consolazione

Perché leggiamo? A cosa serve la letteratura? In questo periodo difficilissimo per tutti, i libri ci possono consolare?

Il verso più rappresentativo di tutto il Novecento, dal poema The Waste Land di T. S. Eliot, recita:

These fragments I have shored against my ruins

Cioè: su questi frammenti ho puntellato le mie rovine.

Questo verso è così bello e universale che ho deciso di tatuarmelo sul braccio. Ma cosa significa?

Nel poema di Eliot le rovine sono le rovine dell’intera civiltà, del mondo moderno che uccide la poesia. Ma io ho sempre interpretato questo verso in modo personale: a tutti noi capita di sentire che attorno a noi ci siano solo rovine, che non sia rimasto più nulla. Ci sono momenti così difficili che ci permettono di vedere solo le macerie: la fine delle nostre relazioni, i nostri fallimenti lavorativi, le nostre difficoltà quotidiane.

E allora l’unica cosa che ci può salvare è il frammento: il verso, l’opera letteraria, che serve a ricordarci che siamo vivi. A volte è difficile sentirsi vivi, soprattutto in un momento come questo, in cui non possiamo uscire, incontrare persone, vedere un museo. Quando leggiamo una poesia, o un bel romanzo, proviamo delle sensazioni vere, forti: ci ricordiamo che siamo vivi.

Ovviamente essere vivi non è sempre positivo: essere vivi significa anche soffrire. È inevitabile! E infatti ho sempre pensato che tutte le opere letterarie, le più belle, debbano per forza fare un po’ male. Anche le opere comiche hanno sempre un risvolto doloroso: pensiamo al Don Chisciotte.

Allora perché leggere qualcosa che ci fa male?

Prima di tutto perché questo ci permette di sperimentare la catarsi: quella sensazione di purificazione che proviamo quando un film ci fa piangere, per esempio, e ci sentiamo meglio.

E poi, leggere qualcosa che ci fa male, ma che nonostante questo è bello, ci insegna che il dolore è parte integrante della vita e non la rende meno degna di essere vissuta. Ci insegna che anche quando tutto sembra orribile c’è sempre un po’ di bellezza. In fondo è questo il lavoro del poeta: trovare il bello dove sembra non poterci essere.