Dante secondo Barbero

In tantissimi avete guardato nei giorni scorsi, sulla Rai, la trasmissione dedicata alla vita di Dante, curata da Alessandro Barbero.

L’alto livello di ascolti per un programma su Dante è sicuramente una cosa positiva. Ma è tutto vero ciò che è stato detto in quella puntata?

Quando si parla di Dante in televisione, si cerca sempre di romanzarne la vita e le opere, per renderle più emozionanti, più appetibili per il pubblico. Purtroppo, però, così facendo si rischia molto spesso di banalizzarle, quando non di fraintenderle completamente,

Vediamo quali sono state le inesattezze (o le scemenze, in qualche caso) dette dal professore.

Il grave errore alla base di almeno metà della trasmissione è la scelta di usare la Vita Nova di Dante come fonte storica, autobiografica, insomma come un documento su cui basarsi per ricostruire la vita di Dante.

Persino alle scuole superiori i professori di italiano insegnano che questo è un errore che non bisogna compiere: le opere letterarie sono opere di finzione, e sono inattendibili, anche quando sono apparentemente autobiografiche. Lo diceva anche De André che i poeti, ogni volta che parlano, è una truffa.

Infatti, la Vita Nova non è il racconto di un amore, anche se alla nostra mentalità contemporanea abituata ai film con Julia Roberts piacerebbe molto di più quest’interpretazione. È un’opera allegorica in cui l’amore (molto probabilmente inventato, non reale) ha un valore simbolico (anzi, più di uno).

Insomma non dobbiamo pensare che Dante fosse davvero innamorato di una donna di nome Beatrice e che quindi le abbia dedicato una raccolta di belle poesie. Dante non era Eros Ramazzotti!

Barbero invece sembra voler dire proprio questo. E infatti ricostruisce l’amore tra Dante e Beatrice come una cosa assodata, realmente accaduta, basandosi su quello che racconta Dante nella Vita Nova. Che però non è minimamente credibile.

Dante, infatti, ci dice che quando aveva 9 anni incontrò Beatrice per la prima volta e ne rimase folgorato. Guardacaso aveva proprio 9 anni: 9, quel numero che si ottiene moltiplicando 3×3, il numero della Trinità. E guardacaso Dante ci dice che esattamente 9 anni dopo incontra di nuovo Beatrice! Davvero piena di coincidenze questa storia d’amore.

Non sarà invece che è tutto inventato perché Dante doveva ricoprire Beatrice di un significato simbolico, avvicinandola a Dio?

Barbero poi ci dice che Dante, dopo aver visto Beatrice da adulto, la sogna, e racconta questo sogno nel Capitolo III della Vita Nova. Vero; solo che Barbero ci dice che quello che Dante racconta è un sogno erotico, in cui vede Beatrice nuda, avvolta in un drappo rosso, e dal quale si risveglia in preda al tumulto. Insomma, Dante racconta una polluzione notturna! In fondo è normale, tutti a 18 anni hanno gli ormoni suscettibili.

Sicuramente Dante avrà fatto sogni erotici nella sua gioventù; il problema è che non li ha assolutamente raccontati nella Vita Nova. Infatti, questo sogno ha un significato allegorico molto chiaro (spiegato in parte anche da Dante stesso): Beatrice rappresenta l’amore carnale, di cui Dante è vittima, e che è un amore negativo, che conduce alla morte (infatti nel sogno Beatrice si nutre del cuore di Dante). Alla fine del sogno, poi, Amore personificato scappa via piangendo, e questo rappresenta l’imminente morte di Beatrice per la quale Amore in persona piange.

Siamo sicuri di questo perché Dante non è l’unico, in quel periodo, a scrivere opere allegoriche: lo facevano tutti! E tutti in quel periodo scrivevano poesie d’amore.

E qui veniamo alla grande scemenza detta in questa trasmissione.

Barbero ci dice che lo Stil Novo (il gruppo poetico a cui appartiene Dante, insieme al primo amico Guido Cavalcanti) nacque perché i poeti, volendo scrivere poesie per conquistare le donne che amavano, dovevano farlo in volgare (cioè, nel caso di Dante, nel dialetto fiorentino), perché le donne non capivano il latino. E così questi poeti di Firenze si sarebbero messi a scrivere poesie per sfogare le frustrazioni amorose, e avrebbero cominciato a mandarsele per condividere con gli amici le loro pene.

Eppure qualsiasi manuale di letteratura delle superiori ci spiega che lo Stil Novo nasce quando c’è già in Italia una tradizione di poesia amorosa in volgare (la Scuola siciliana e quella bolognese), che a sua volta deriva da una più antica tradizione poetica provenzale. E ci spiega anche che il motivo per cui i poeti abbandonano il latino per scrivere il volgare è prima di tutto un motivo politico: rivendicare un’identità e una tradizione autoctona e completamente nuova.

Inoltre i poeti stilnovisti non parlano d’amore in senso letterale, ma in senso filosofico. Discutono della natura di Amore come sostanza o come accidente, e fanno a gara a chi è più capace di carpirne l’intima natura. Tanto che va a finire che l’amore simboleggia la poesia stessa: il vero interprete di Amore è il vero grande poeta.

Un po’ più complicato di come ce lo racconta Barbero!

E infine, la ciliegina sulla torta: perché Dante ha scritto la Divina Commedia?

Non perché aveva in mente un progetto grandioso di poesia allegorico-religiosa in volgare che raccogliesse l’eredità dei suoi grandi maestri Brunetto Latini e Virgilio. No: perché gli mancava Beatrice e voleva dedicarle un’opera grandiosa!

Eh sì: la più grande opera della letteratura italiana e in fondo mondiale deriva semplicemente da un mal d’amore.

Questa baggianata viene motivata sulla base della conclusione della Vita Nova, in cui Dante dice che intende abbandonare momentaneamente la poesia di lode a Beatrice, finché non sarà capace di

dicer di lei quello che mai non fue detto d’alcuna.

Questa frase è stata interpretata (anche se non ne abbiamo certezza) come un’anticipazione della Divina Commedia.

Ma in che senso?

Non nel senso che Dante vuole dedicare a Beatrice la poesia più bella del mondo perché è innamorato di lei; ma nel senso che vuole superare la poesia precedente, che era limitata, effimera, rivolta solo alla vita terrena e ai suoi piaceri, e vuole produrre qualcosa di più grande, in cui l’amore (che già era un elemento simbolico) venga sublimato in quella che si chiama caritas, cioè l’amore di Dio.

Anche qui, un po’ più complicato!

Insomma: va bene semplificare le cose per spiegarle al pubblico, ma inventarle di sana pianta, anche no.