Censurare gli intellettuali in nome del politicamente corretto

È giusto smettere di leggere un poeta perché non era una brava persona? È giusto cancellare un intellettuale per la sua condotta di vita?

Nell’articolo precedente abbiamo parlato dei recenti episodi di censura linguistica relativi a elementi offensivi sotto il profilo razziale, veri o presunti, e di come questa tendenza spesso venga estremizzata e possa condurre al ridicolo.

Oggi continuiamo il dicorso, parlando ancora una volta di censura e ancora una volta in relazione a ciò che sta accadendo in questo periodo nel mondo.

A partire dalla vandalizzazione della statua di Indro Montanelli, in Italia si sta verificando quello che sarebbe bello poter chiamare dibattito ma che è più spesso una serie di indistinti starnazzi.

L’oggetto è l’antica questione di dove mettere e come trattare l’artista o l’intellettuale che ha fatto qualcosa di rilevante nella storia della cultura ma che dal punto di vista umano ha avuto comportamenti deprecabili. Questo, appunto, si inserisce nel più ampio discorso ormai mondiale sul modo di raccontare personaggi storici che hanno compiuto atti che oggi consideriamo errati, o eventualmente sul non parlarne affatto.

Personalmente non posso dire di avere di Indro Montanelli una particolare stima: ritengo che non sia stato un giornalista onesto e che una statua in suo onore fosse decisamente evitabile.

Non, però, evitabile per via del suo vissuto e quindi dei suoi abusi su una minore; ma solo per via del suo, per me, discutibile valore come giornalista.

Cioè: se fosse stato un intellettuale di livello elevatissimo, avrei accettato una statua in suo onore, nonostante sotto il profilo umano sia da condannare.

Perché questo? Perché l’uomo e l’artista, o l’intellettuale, vanno separati. Per metà della mia vita non ho fatto altro che difendere Pier Paolo Pasolini da chi voleva negarne l’importanza e l’immensità per via delle sue abitudini sessuali.

Certo, Montanelli non è paragonabile a Pasolini: ma non tanto per la diversa gravità degli atti compiuti, quanto, ripeto, per l’incomparabile abisso che li separa in quanto a importanza nella storia del pensiero e della cultura italiani.

Il discorso di fondo, però, è e deve essere lo stesso per tutti.

Gabriele D’Annunzio era un personaggio detestabile, davvero un uomo pessimo, pieno di sè, che ha contribuito a propagandare il fascismo; eppure nessuno – spero – si lamenta se abbiamo vie intitolate a lui o se a scuola studiamo La pioggia nel pineto. Perché?

Perché il contributo che ha apportato alla letteratura trascende il suo valore come uomo. Non ci interessa niente del suo valore come uomo.

E anche quando parliamo di opere letterarie o artistiche scritte in altri tempi in cui si veicolano messaggi che oggi consideriamo inaccettabili – misoginia, razzismo ecc – non possiamo pensare di censurarle perché non ci piace quello che dicono.

Prima di tutto non possiamo non contestualizzare un’opera, inserendola nelle giuste coordinate spaziali e temporali. Un poeta latino del I secolo a.C. non sapeva cosa fosse il femminismo ed era lontano letteralmente secoli da certe concezioni che oggi ci paiono normali. Non possiamo condannarlo per questo.

In secondo luogo – ed è ancora più importante – un’opera d’arte è un’opera d’arte. Ha una natura completamente diversa dalla semplice esternazione impulsiva di un’opinione. Un’opera d’arte si esprime attraverso filtri, che vanno compresi e interpretati.

Prendiamo l’esempio dei testi di canzoni, che è eclatante ed è stato oggetto di starnazzi qualche tempo fa (riguardo alla trap).

A me viene sempre in mente non la trap, che non ascolto, ma l’artista Fabri Fibra, di cui non apprezzo la produzione contemporanea ma che ho molto amato nei suoi anni d’esordio, quando ero adolescente, e che talvolta ancora ascolto con piacere. I suoi testi sono un concentrato terrificante di misoginia, razzismo, blasfemia, incitazione alla violenza (come lo sono la maggioranza dei testi di musica rap).

Secondo le tendenze attuali, su questi testi dovrebbe abbattersi inesorabile la scure della censura, anche perché non c’è neanche la scusa della contestualizzazione storica.

E invece quei testi sono brillantemente ironici, caustici, si fanno portavoci dell’odio che permea la nostra società, spesso indirizzato indifferentemente contro una qualsiasi categoria “altra”. Non dimentichiamoci che il turpiloquio (in cui possono rientrare in senso tutte le esternazioni politicamente scorrette) ha spesso una funzione catartica che è molto importante a livello sociale.

Certo Fabri Fibra non è D’Annunzio o Pasolini, ma anche la musica è arte, anche se non tutta dello stesso livello, naturalmente, e va letta nello stesso modo in cui leggiamo i grandi poeti.

Ormai vi sarete stancati di sentirmelo dire, ma come sempre si mette la polvere sotto il tappeto.

Si accusano i poeti, gli intellettuali, gli artisti, persino i navigatori, di diffondere e rappresentare una cultura di odio e di ignoranza, invece di guardarsi in faccia gli uni con gli altri e smettere di spostare il problema altrove.

L’arte è un valore supremo inviolabile che deve essere sempre tutelato. Se censurassimo tutto ciò che esprime messaggi discutibili, non potremmo leggere neppure Dante (e qualche imbecille ha proposto anche questo).

Ci rimarrebbe solo Alessandro Baricco, pensate che mondo di merda.